L’importanza della comunicazione (problema – soluzione)
Di che cosa è fatta un’attività? Noi crediamo di persone e numeri.
Noi la vediamo come un puzzle, fatto di tanti tasselli che possono combaciare perfettamente tra di loro, anche se risulta difficile trovare il giusto incastro al primo colpo perché sono tutti mescolati casualmente.
Faticoso in effetti riordinare le idee, realizzare i sogni, implementare visioni lungimiranti, sviluppare il progetto e realizzarlo nel concreto in modo sincrono affinchè funzioni.
I pezzi del puzzle, dicevamo, possono rappresentare i numeri e le persone di un’impresa e c’è una strettissima relazione tra loro. Ma dove c’è relazione c’è anche comunicazione. Entrambi poi hanno bisogno di armonia, devono comunicare tra di loro perchè l’interazione funzioni.
Possiamo però notare una piccola differenza tra i due elementi che stiamo considerando: le persone hanno emozioni e i numeri no. Eppure, nonostante tale disparità, questo rapporto tra persone e numeri deve combaciare perfettamente, altrimenti si rischia di non completare il lavoro e di vederlo sfumare o, peggio, vederlo andare male e fallire.
Mi sono confrontato con Giorgio (uno psicologo, che conosce da vicino il mondo della ristorazione per una serie di vicissitudini lavorative) e abbiamo trovato qualche spunto per approfondire l’argomento, anche da un punto di vista psicologico. D’altronde, se parliamo di numeri sarà fondamentale che commercialista e fiscalista ci facciano conoscere teoremi e formule, ugualmente se parliamo di persone potrebbe essere sensato coinvolgere una figura professionale che ci racconti qualche curiosità sulla mente dell’essere umano. A maggior ragione in questo momento storico, sicuramente pieno di paura, nervosismo, ansie, incertezze e negatività.
Tutto normale, fisiologico. Ma queste emozioni ci sono, le sentiamo e forse non le riconosciamo, si mischiano ed entrano in collisione tra loro, si ingigantiscono e poi spariscono, per poi riapparire in qualche sintomo. Questo capita di default, ma proviamo a immaginare l’esito di un tale processo se venisse esposto ai riflettori delle scadenze, dei fornitori, delle tasse, ecc., del “in qualche maniera dobbiamo far quadrare i conti”.
Ed ecco che ritorna il rapporto tra persone e numeri.
Trovato il problema e analizzato, abbiamo necessità di andare a trovare una soluzione. Qui entra in gioco anche la professionalità di uno psicologo e\o di uno psicoterapeuta, col rispettivo contributo che potrebbe dare all’interno di un’attività. Del resto un buon mantra per uno psicologo potrebbe essere “il primo passo per risolvere un problema è esserne consapevoli”.
Approfondiamo dunque il tassello “persone” all’interno di una attività ristorativa. Dal mio punto di vista (e penso a bar e ristoranti) gli attriti titolari VS personale, dovuti a questioni lavorative, economiche e gestionali, sono stati e saranno una costante del settore: nella maggior parte dei casi, infatti, siamo carenti dal punto di vista dell’organizzazione del “capitale umano”. Penso al ricambio del personale e agli abbandoni: l’alta frequenza di questi fenomeni ha ripercussioni fortissime sia sul tassello “numeri”, ovvero sui fatturati, sia sui rapporti con la clientela.
Quest’ultima sempre meno si lega agli staff , ma sempre di più diventa mobile, fluida e di passaggio, alla ricerca di qualcosa che ha smarrito: il rapporto umano. Da qualsiasi punto la si guardi insomma, le aziende sono fatte di rapporti umani e sociali, tanto che, mi fa notare Giorgio, ci sono manuali di psicologia aziendale e del lavoro … ma nel nostro paese spesso sono rimasti sugli scaffali delle Università.
Per sfatare questo mito dunque, abbiamo deciso di affrontare la questione della crisi post-covid19 anche da un punto di vista psicologico, e lo facciamo parlando con l’amico, nonché collega al bancone, psicologo. Negli ultimi anni infatti questo psicologo ha visto da vicino come funziona un ristorante e un’osteria, come si organizza un catering e come si muove una cucina.
Venendo alla nostra chiacchierata condivido con lui una mia considerazione: negli ambienti di lavoro manca la comunicazione, elemento che, come si sarà intuito, lui collega inevitabilmente al presupposto che questi ambienti sono formati da persone in relazione tra loro.
Infatti, racconta Giorgio, le persone sono animali sociali (per citare Aristotele), hanno un cervello che non solo si costruisce entrando in relazione con altri esseri umani, ma è formato per permettere la relazione, dunque la comunicazione.
Andando con ordine, penso che:
- Siamo mammiferi e biologicamente risulta innata la propensione alla relazione
- Là dove c’è comunicazione c’è relazione, e viceversa
- Fin da bambini siamo in comunicazione con ciò che ci circonda, tanto che una madre impassibile (ovvero che non comunica) verso i richiami del figlio influisce (negativamente) sullo sviluppo del pargolo.
- Comunicazione e buona organizzazione vanno di pari passo (cit. un maître).
Partendo da queste brevi considerazioni, ci chiediamo come si possa trascurare il funzionamento della comunicazione e, a monte, della persona in un contesto fatto di persone.
Di fronte a un rapporto continuamente incandescente tra titolare e dipendente, tra chef e plongeur, tra maître e chef, come si può girare lo sguardo altrove? Che sia una situazione di stress è lampante. A maggior ragione nel nostro prossimo futuro, in cui le risorse economiche andranno a calare, per qualunque ruolo venga preso in considerazione: la rata da pagare rimane tale sia per un titolare di un locale in affitto, sia per un dipendente che vive in un monolocale non di proprietà. E la storia – continua Giorgio – ci insegna che di fronte alla scarsità di risorse, o si collabora e si comunica in modo fruttuoso, adottando la mediazione del conflitto. Oppure ci si scontra e … nessuno vince.
E se spostassimo il punto di vista sulla clientela, come accennava Damiano? Anche in questo caso trattasi di persone: ovviamente non devo insegnare il mestiere a nessuno, chi ha lavorato nel settore sa perfettamente quanto il giusto sguardo o la battuta al momento opportuno possano alleggerire la serata, magari rimpinguare il portafogli, o semplicemente far piacere. Già, perchè quelle emozioni le potete regalare all’avventore che chiede un caffè, ma le provate voi stessi sotto la vostra pelle quando vi regalano un sorriso. Anche solo rispondere al buongiorno del barista non è cosa da poco.
Buone maniere? Certo che sì! Comunicazione? Assolutamente sì: si tratta di una reciprocità comunicativa cui siamo abituati, per la quale il nostro cervello viene plasmato fin dalla nascita! Siamo all’erta quando non riceviamo una risposta, quando non c’è comunicazione.
Riflettendo poi sui colleghi di brigata (e ancora sulla clientela), non posso non pensare alle etnie che si incontrano e agli stereotipi che si attivano nel nostro cervello. Proprio così, quello stesso cervello fatto per comunicare e per stare in relazione, di frequente attiva qualche scorciatoia del pensiero e ci porta al pregiudizio. Una strategia per evitare gaffes sarebbe già solo l’esserne consapevoli, sapere cioè che nella nostra mente ci sono tanti tasselli (e tanti numeri) che si incastrano spesso a loro piacimento, a meno che non siamo noi a decidere dove posizionarli. Come si diceva poco sopra, la consapevolezza è davvero importante.
Un’ultima considerazione, aggiunge Giorgio, mi sorge spontanea pensando a questa quarantena, durante la quale credo sarà aumentato vertiginosamente l’uso di whatsapp, facebook, ecc. Stando davanti al cellulare, non di rado mi capita di pensare: “dopo questa frase, devo mettere la faccina così? O quella colà? Si capisce cosa intendo? Mi prenderanno sul serio? Forse un cuoricino?”. Ecco dunque che anche nella comunicazione a distanza spendiamo del tempo per decidere quale sarà più efficace. Figuriamoci vis-à-vis, dove sappiamo che la comunicazione consiste anche in un silenzio protratto, uno sguardo ammaliante, un ciuffo spostato: la cosiddetta comunicazione non verbale. Il nostro corpo entra in sintonia con chi ci sta di fronte, proprio come due walkie-talkie che devono trovare la giusta frequenza per comunicare tra di loro.
Insomma, mi pare evidente che facciamo il tifo per la comunicazione, soprattutto se efficace e consapevole.
E se non fossero sufficienti le parole qua sopra per convincersi di ciò, chiamiamo in causa la recente pubblicità (giusto per stare in tema comunicazione) divulgata dalla Lavazza. Come sottofondo alle immagini risuona il discorso fatto da Charlie Chaplin in “Il grande dittatore” e nei sottotitoli si leggono parole come “tutti noi umani dovremmo aiutarci sempre … Non Odiarci e disprezzarci l’un l’altro … voi avete l’amore dell’umanità nel cuore”. Oltre ciò però, ci ha colpito l’ashtag #thenewhumanity! Incredibile, sembrava fatto apposta per il discorso che qualche giorno prima avevamo avviato! Un augurio che facciamo nostro, quello di vedere una “nuova umanità”, fatta di persone (e non solo di numeri), scendere in campo, capace di comunicare e organizzarsi per ripartire al meglio.
Ovviamente la tematica andrebbe sviscerata nella sua ampiezza e non in qualche rigo scritto, ma ci sembra comunque fondamentale portare l’attenzione su questo aspetto, ora, in questa fase dell’umanità, così da esserne consapevoli lungo il tragitto che ci aspetta.
Siamo convinti infatti che i tasselli presi in considerazione siano non solo presenti, ma anche in relazione tra loro. Di più, comunicano e si intersecano: usando un altro paragone, direi che ingarbugliare la matassa è un attimo, riuscire a tenerla ben liscia e separata costa tempo, energie, risorse e fatica e spesso, come le nostre nonne, si ha bisogno di un gomito (persona) su cui poter contare (numeri).
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Damiano Boschi, Formatore
Giorgio Antoniazzi, Psicologo